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Bancarotta fraudolenta: come lavora la guardia di finanza e di che reato parliamo?

Basta gorgogliare le parole “bancarotta fraudolenta” e “finanza” per trovare un’immensità di casi in Italia e nel mondo. La memoria storica ci riporta per esempio al caso Parmalat di fine secolo scorso, ma basta scorgere l’elenco delle sentenze recenti dei tribunali di Ancona, Lecce, Pescara, Gorizia ecc…per capire che questo reato è diffuso ancora oggi.

Che cosa significa esattamente bancarotta fraudolenta?

Si potrebbe riassumere in una situazione che vede un imprenditore dissimulare o

nascondere il proprio patrimonio effettivo con l’obiettivo di far credere ai propri creditori che non possa pagare i debiti.

Certamente la sommaria definizione qui presentata non è comprensiva di tutta una serie di definizioni, che fanno rientrare questo reato in quelli definiti fallimentari e la cui regolamentazione è affidata attualmente al Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza. Mattia Fontana, avvocato penalista di Roma, ben spiega nel suo dettagliato articolo quante tipologie di bancarotta esistano e come per ciascuna sia prevista una pena diversa.

Le autorizzazioni a procedere

Questo reato spesso viene scovato dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia delle Entrate con indagini e ricerche molto accurate. Come lavorano queste autorità di fronte a un caso sospetto di bancarotta?

La Finanza ha poteri ispettivi che possono essere utilizzati, ovviamente, rispettando sempre i diritti costituzionali del contribuente, la sua privatezza e la sua riservatezza domiciliare. Se vengono meno queste regole, l’azione è illegittima.

Per i controlli presso l’attività commerciale o professionale è più che sufficiente un’autorizzazione del capo ufficio dei verificatori.

Nel caso di locali ad uso misto (casa-studio) serve, invece, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Nel caso di perquisizioni o controlli in luoghi ritenuti non di lavoro, allora serve il permesso ad agire da parte del Procuratore, che può concederlo solo se gli indizi di violazione della legge tributaria sono palesi.

Se mancano le autorizzazioni indicate in precedenza o se il Procuratore ha concesso l’autorizzazione, ma i verificatori non hanno presentato indizi gravi di illecito, allora l’accertamento fiscale è non valido.

Le ispezioni

Sia gli agenti di Finanza sia quelli del Fisco possono accedere ai locali di attività commerciali e di uso privato. Sempre, se le autorizzazioni vengono concesse.

I controlli devono concentrarsi su documenti, verifiche, ricerche e perquisizioni.

Le ispezioni devono essere accompagnate dall’esibizione del permesso firmato dall’autorità preposta e devono essere ben esplicitati il motivo dell’accesso e i conseguenti controlli.

Se il sospettato si mostra collaborativo nei confronti della Guardia di Finanza e porta i documenti necessari, ma l’accesso nei locali ad uso promiscuo non è stata avvallata, i dati raccolti non sono prove.

Indizi, persecuzione personale e mancate autorizzazioni a procedere

Le prove che possono poi essere presentate in tribunale sono generalmente le seguenti:

  • documenti
  • registri contabili
  • strumenti hardware
  • device contenenti dati
  • hard disk

Per cercare questi indizi gli agenti hanno diritto di cercare in borse, armadi, cassetti, casseforti, sgabuzzini. Se l’interessato non si oppone è possibile procedere anche senza l’autorizzazione della Procura, mentre se ha un atteggiamento poco coattivo, allora l’azione forzata è concessa solo se il giudice lo consente. Identica situazione si verifica se c’è l’opposizione alla perquisizione sulla persona stessa.

Come già anticipato, se non vengono richieste le dovute autorizzazioni o se le azioni non sono concesse, non solo le prove sono nulle, ma possono essere utilizzate dalla difesa come elemento a favore dell’accusato.

Ricordiamo sempre che collaborare con le forza dell’ordine è un dovere di qualunque cittadino e che un atteggiamento poco collaborativo può avere anche riflessi sulla sentenza finale.